Ogniqualvolta in una proposta didattica eliminiamo un avversario od una direzione di gioco, favoriamo e stimoliamo, da parte dei nostri allievi o giocatori adulti, lo sviluppo di intenzionalità tronche, non più legate allo scopo dell’agire (trasmetto la palla sulla corsa del compagno perché ha spazio alle spalle delle linee di gioco avversarie e può attaccare la porta, ricevo con il piede destro in apertura perché così posso eludere la pressione del mio diretto oppositore e aggredire uno spazio) ma al metodo (trasmetto la palla sulla corsa, ricevo orientato e aperto (rispetto a quali elementi?)) o al semplice mezzo (trasmetto con l’interno del piede destro, mi oriento per ricevere) con cui cerchiamo di risolvere, più o meno direttivamente da parte del tecnico di turno, la situazione di gioco in cui sono protagonisti.
Se, nell’arco percorso di formazione del giocatore, questa modalità esperienziale si fa significativa o addirittura si erge a metodo, l’intenzionalità tronca viene assimilata, in maniera difficilmente reversibile, come modalità di elaborazione e interazione principale, se non esclusiva, anche del giocatore adulto.
In questa maniera le capacità di interpretazione del gioco, sia istintive che razionali, dei nostri giocatori vengono in larga parte compromesse a favore di semplici competenze di riconoscimento e lettura delle dinamiche che si succedono e sovrappongono sul campo.
Nel contesto di gioco reale questa carenza si manifesta in primo luogo nella carenza di iniziativa, efficacia, partecipazione stessa al gioco da parte dei nostri giocatori.