Durante l’ultimo ventennio, anche grazie alla diffusione del contributo delle neuroscienze cognitive dello sviluppo e al dispiegarsi della teoria dei sistemi dinamici complessi (Thelen & Smith, 1994), gli scienziati hanno trovato un punto di incontro tra varie discipline, tra cui la psicologia, la biologia, la fisica aderendo ad un nuovo approccio trasversale alla realtà, che cerca di studiare i processi globali che avvengono all’interno di sistemi complessi. Un sistema complesso è caratterizzato da alcune importanti proprietà:
1- il sistema è più della somma delle sue parti (un approccio riduzionistico, che tende a frazionare gli elementi del sistema isolandoli dal proprio ambiente, non spiega in modo efficace le dinamiche e i cambiamenti che avvengono all’interno del sistema);
2- ogni sistema è organizzato come un tutto e i singoli elementi del sistema sono interdipendenti e si influenzano reciprocamente, si ha quindi una causalità di tipo non lineare, ma circolare (non possiamo distinguere la causa dall’effetto, ma possiamo vederli come due aspetti che si trasformano continuamente l’uno nell’altro in un processo di cambiamento, che coinvolge le relazioni all’interno del sistema in modo non prevedibile);
3- i sistemi tendono a progredire verso un grado di complessità sempre maggiore, attraverso momenti di perturbazione che creano opportunità di auto-organizzazione di nuovi equilibri più complessi dei precedenti (si creano nuovi pattern di comportamenti interattivi e nuovi adattamenti in funzione del contesto).
Questo modello postula quindi che ogni cambiamento che avviene all’interno di un sistema, dal più semplice (un singolo neurone), a quelli via via più complessi (il cervello, l’individuo, la squadra ecc…) è sempre dipendente dal contesto all’interno del quale il sistema è immerso. La presenza all’interno dell’ambiente di specifici vincoli, crea le condizioni per un incanalamento dello sviluppo del sistema verso particolari direzioni, che si rinforzano con l’esperienza di adattamento, attraverso un progressivo restringimento dei gradi di libertà. Inoltre, la forma finale a cui conducono i cambiamenti all’interno del sistema non sono prevedibili a priori e costituiscono delle proprietà emergenti all’interno del sistema stesso, che si auto-organizzano mediante le specifiche interazioni bidirezionali tra il sistema e l’ambiente. I sistemi complessi sono spesso costituiti da più sottosistemi, i quali sono separati da confini e contengono interazioni proprie governate da implicite regole e pattern di comportamento.
Il calcio è uno sport open skill con un elevato grado di complessità, che contiene al suo interno numerose variabili ed elementi di imprevedibilità ai quali il calciatore e la squadra si devono continuamente adattare in funzione dei propri obiettivi. Durante il percorso di apprendimento ed all’interno del gioco intervengono contemporaneamente processi emotivi, motivazionali, cognitivi (tattici), motori (tecnici) e sociali, che influenzano la prestazione del singolo. Allo stesso modo, il calcio, facendo parte dei cosiddetti sport di squadra, prevede dei comportamenti collettivi che si configurano attraverso le interazioni e le relazioni che si instaurano tra gli individui che compongono il gruppo. Nel gioco, infatti, le scelte individuali sono sempre profondamente interrelate con le dinamiche collettive che emergono all’interno dello specifico contesto nel quale sono inserite.
La teoria dei sistemi dinamici complessi si rivela quindi calzante per le caratteristiche di questo sport, in modo particolare nel contesto giovanile, dove i cambiamenti e gli apprendimenti mettono fortemente in relazione il giovane con l’ambiente nel quale è inserito. Come abbiamo potuto osservare, un ambiente fertile per l’emergere di comportamenti sempre più complessi ed adattivi deve avere delle caratteristiche ben precise: la presenza di elementi di perturbazione della stabilità, o vincoli, che guidano lo sviluppo verso nuove traiettorie; l’inserimento del processo di apprendimento all’interno di contesti induttivi, che rendano il calciatore e la squadra protagonisti del processo di acquisizione di nuove abilità, attraverso degli elementi di imprevedibilità e la creazione di opportunità di trovare un ordine nel caos; la consapevolezza dell’inefficacia di un metodo che miri alla scomposizione degli elementi della realtà, in favore un modella che prevede l’integrazione delle componenti tecniche, tattiche, cognitive, emotive e sociali.
A livello metodologico si può osservare come la teoria dei sistemi dinamici possa fornire indicazioni su come operare all’interno di un settore giovanile a più livelli: a partire dalla composizione dello staff, per proseguire sul tipo di allenamento che può rivelarsi più efficace per la crescita umana e sportiva del gruppo, per finire ai processi che intervengono nell’apprendimento di un singolo individuo.
Ad un primo livello possiamo immaginare l’intero settore giovanile come un sistema complesso. In quest’ottica, la figura del responsabile di settore giovanile non solo ha il fondamentale compito di scegliere i membri dello staff e assegnare loro dei ruoli specifici, ma anche la responsabilità di fornire loro gli strumenti per integrare le proprie competenze e cooperare in funzione di obiettivi condivisi. Uno staff che immerso in un ambiente dinamico e complesso non farà quindi un lavoro per compartimenti stagni, ma collaborerà attraverso una comunione di conoscenze. Di conseguenza il preparatore atletico dovrà conoscere la filosofia di gioco dell’allenatore per inserirla all’interno della propria programmazione, lo psicologo non resterà dietro una scrivania, ma agirà all’interno del campo in relazione con tutte le figure tecniche presenti per la formazione di una metodologia di lavoro condivisa, l’allenatore presterà attenzione, oltre che agli aspetti puramente tecnici, anche alle componenti cognitive ed emotive dei calciatori. Affinché questo modello si realizzi, un importante strumento sono le riunioni periodiche programmate a cui dovrebbe partecipare ogni figura dello staff, dove si possa trovare un confronto e rivisitare ogni obiettivo in funzione dei cambiamenti nel sistema e dell’integrazione interdisciplinare.
Ad un secondo livello, è possibile considerare la squadra come un sottosistema, composto dalle interazioni che si instaurano tra i calciatori e lo staff. All’interno di una partita, sono queste stesse interazioni le protagoniste del gioco, perché attraverso di esse si configurano le auto-organizzazioni adattive del gruppo in relazione al contesto di gioco e si strutturano pattern di comportamenti specifici della squadra in funzione dei movimenti di ognuno e delle scelte collettive. Come abbiamo osservato, il contesto è il luogo privilegiato per l’apprendimento e il lavoro sul campo, visto in ottica sistemica, non può essere frammentato in componenti esclusivamente individuali, in aspetti tecnici senza una finalità tattica, in fasi di gioco prestabilite senza un principio di continuità (le cause non si distinguono dalle conseguenze). L’allenamento di una trasmissione, ad esempio, non può essere slegato dal suo contesto di attuazione, poiché la trasmissione necessita della presenza di un compagno che si smarca per ricevere il pallone, ma lo smarcamento non può esistere senza un avversario che detta lo spazio e il tempo di movimento, così come non esiste trasmissione a cui non segua un nuovo gesto tecnico guidato da una finalità tattica. La trasmissione, così come ogni gesto tecnico, prevede in sé una comunicazione e di conseguenza una componente sociale. Per questo motivo il vero allenamento è quello che riporta il collettivo all’interno del caos e dell’imprevedibilità del gioco, cercando, attraverso la creazione di vincoli (modificazione delle regole, delle dimensioni o forme del campo, del numero di giocatori) di far emergere dalle interazioni tra le caratteristiche dei calciatori un auto-organizzazione verso pattern di comportamento sempre più complessi ed adattivi. L’allenamento attraverso i principi di gioco può fornire alla squadra degli ancoraggi a cui agganciarsi per dare significato agli eventi e per trovare delle regolarità nella complessità. E’ attraverso o sviluppo del collettivo che avviene l’apprendimento del singolo individuo. L’allenatore, perciò, non è altro che un costruttore di contesti di apprendimento e di vincoli che conducano a nuove traiettorie di sviluppo.
Infine, ogni singolo calciatore forma un ulteriore sottosistema. Le nuove frontiere delle neuroscienze cognitive mostrano un nuovo modo di vedere lo sviluppo che supera l’idea cartesiana della netta separazione tra mente e corpo. L’innovativa teoria dell’Embodied Cognition, infatti, spiega come la corporeità e la sua interazione con l’ambiente siano strettamente connesse alle funzioni cognitive e all’apprendimento e si strutturino attraverso processi di percezione e azione. La conseguenza è che corpo, cervello e ambiente si scambiano tra loro continue informazioni in modo rapido e dinamico, contribuendo attraverso sempre nuovi adattamenti allo sviluppo cognitivo. La dinamicità di questo processo è data dall’alternarsi di momenti di stabilità nei pattern di pensiero e comportamento e periodi di turbamento dell’equilibrio nei quali nuove acquisizioni emergono. Fondamentale è perciò fornire all’individuo, in modo particolare durante i periodi sensibili per lo sviluppo cognitivo (infanzia e adolescenza), contesti sempre ricci di stimoli e di vincoli. Gli studi scientifici rivelano che le componenti cognitive rivestono un ruolo predominante nel calcio moderno, dove la capacità di percepire il contesto, anticipare gli eventi e prendere decisioni adattive è fondamentale per l’efficacia della prestazione. Una metodologia di pedagogia attiva, che metta il giovane calciatore al centro del processo di apprendimento e richieda di risolvere, attraverso prove ed errori, problemi ed esperienze sempre più complessi in modo induttivo, conduce ad un apprendimento efficace ed interiorizzato nel lungo termine.
Bibliografia
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